Pagina:Verri - Osservazioni sulla tortura, Milano 1843.djvu/47

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sulla tortura. 39

il fuoco a que’ pezzetti; ovvero si pongono a cavallo sopra un toro o asino di bronzo vacuo, entro cui si gettano carboni ardenti, e coll’infuocarsi del metallo acerbamente e con incredibili dolori si cruciano.» Tali sono i precetti che dà questo dottore, di cui ecco le parole originali: Praeter expansionem, carnifices cutem inquisiti cadentibus luminibus in certis corporis partibus lento igne urunt; vel partes digitorum extimas immissis infra ungues piceis cuniculis, iisque postmodum accensis per adustionem inquisitos excruciant; aut etiam tauro vel asino ex metallis formato, ut incalescenti paullatim per ignes injectos, tandemque per auctum calorem nimium doloribus incredibilibus insidentes urgeant, delinquentes imponunt. Farinaccio istesso1, parlando de’ suoi tempi asserisce che i giudici, per il diletto che provavano nel tormentare i rei, inventavano nuove specie di tormenti: eccone le parole: Judices qui propter delectationem, quam habent torquendi reos, inveniunt novas tormentorum species. Tale è la natura dell’uomo che, superato il ribrezzo de’ mali altrui, e soffocato il benefico germe della compassione, inferocisce e giubila della propria superiorità nello spettacolo della infelicità altrui; di che ne serve d’esempio anche il furore de’ Romani per i gladiatori. Veggasi lo stesso Farinaccio2, ove dà il ricordo al giudice di moderarsi ed astenersi dal tormentare il reo colle sue proprie mani; e cita chi vide un pretore, che prendeva il carcerato pe’ capelli e gli orecchi, e fortemente lo faceva cozzare contro di una colonna, dicendogli: Ribaldo, confessa; cosi egli: abstineat etiam judex se ab eo quod aliqui judices facere solent, videlicet a torquendo reos cum propriis manibus... Refert Paris de Puteo se vidisse quemdam potestatem, qui capiebat reum per capillos, vel per aures, dando caput ipsius fortiter ad columnam, dicendo: confitearis et dicas veritatem, ribalde. Il celebre Bartolo3 di sè stesso ci significa come gli accadde di rovinare un giovine robusto uccidendolo colla tortura; quindi ne deduce che non mai si debba imputare al giudice un simile accidente. Hoc incidit mihi, quia dum viderem juvenem robustum, torsi illum et statim fere mortuus est: e con tale indifferenza racconta il fatto atroce quel freddissimo dottore. Dopo ciò convien pure accordare, e sull’esempio delle unzioni pestifere e sulle dottrine de’ maestri della tortura, ch’ella è crudele e crudelissima e che se al giorno d’oggi la sorte fa che gli esecutori la moderino, non lascia perciò di essere per sè medesima atroce e orribile, quale ognuno la crede, e queste atrocità e questi orrori legalmente

  1. Theor. et Prax. Criminal, tom. II, Quaest. 38, num. 56.
  2. Loc. cit., num. 59.
  3. Comment. ad ff. nov., lib. XLVIII, leg 7.