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sulla tortura. 43

egli, ovvero non lo abbia, commesso. Questo ragionamento non ha cosa alcuna che gli manchi per essere una perfetta dimostrazione.

Sulla faccia di un uomo abbandonato allo stato suo naturale delle sensazioni si può facilmente conoscere la serenità della innocenza, ovvero il turbamento del rimorso. La placida sicurezza, la voce tranquilla, la facilità di sciogliere le obbiezioni nell’esame possono far ravvisare talvolta l’uomo innocente; e così il cupo turbamento, il tono alterato della voce, la stravaganza, l’inviluppo delle risposte possono dar sospetto della reità. Ma entrambi sieno posti, un reo e un innocente fra gli spasimi, fra le estreme convulsioni della tortura; queste dilicate differenze si eclissano; la smania, la disperazione, l’orrore si dipingono egualmente su di ambi i volti, gemono egualmente, e in vece di distinguere la verità, se ne confondono crudelmente tutte le apparenze.

Un assassino di strada, avvezzo a una vita dura e selvaggia, robusto di corpo, e incallito agli orrori, resta sospeso alla tortura, e con animo deciso sempre rivolge in mente l’estremo supplizio che si procura cedendo al dolore attuale; riflette che la sofferenza di quello spasimo gli procurerà la vita, e che cedendo all’impazienza va ad un patibolo: dotato di vigorosi muscoli, tace e delude la tortura. Un povero cittadino avvezzo a una vita più molle, che non si è addomesticato agli orrori, per un sospetto viene posto alla tortura; la fibra sensibile tutta si scuote, un fremito violentissimo lo invade al semplice apparecchio: si eviti il male imminente: questo pesa insopportabilmente, e si protragga il male a distanza maggiore: questo è quello che gli suggerisce l’angoscia estrema in cui si trova avvolto, e si accusa di un non commesso delitto. Tali sono e debbono essere gli effetti dello spasimo sopra i due diversi uomini. Pare con ciò concludentemente dimostrato, che la tortura non è un mezzo per iscoprire la verità, ma è un invito ad accusarsi reo egualmente il reo che l’innocente: onde è un mezzo per confondere la verità, non mai per iscoprirla.

§. X.

Se le leggi e la pratica criminale risguardino la Tortura come un mezzo per avere la verità.

Ho stabilito di provare in secondo luogo che le leggi e la pratica istessa de’ criminalisti non considerano la tortura come un mezzo per distinguere la verità. Ciò si conosce facilmente osservando, che non trovasi prescritto alcun metodo o regolamento nel Codice Teodosiano, e nessuno parimenti nel Codice Giustinianeo per applicare ai tormenti i sospetti rei. In quegli