Pagina:Verri - Osservazioni sulla tortura, Milano 1843.djvu/54

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46 osservazioni

per rintracciare la verità, giacchè presso di noi un reo si condanna benchè negativo. La tortura dunque in questo caso sarebbe ingiusta, perchè non è giusta cosa il fare un male, e un male gravissimo ad un uomo superfluamente. Se il delitto poi è solamente probabile, qualunque sia il vocabolo col quale i dottori distinguano il grado di probabilità difficile assai a misurarsi, egli è evidente che sarà possibile che il probabilmente reo in fatti sia innocente: allora è somma ingiustizia l’esporre un sicuro scempio e ad un crudelissimo tormento un uomo, che forse è innocente; e il porre un uomo innocente fra quegli strazj e miserie tanto è più ingiusto quanto che fassi colla forza pubblica istessa, confidata ai giudici per difendere l’innocente dagli oltraggi. La forza di quest’antichissimo ragionamento hanno cercato i partigiani della tortura di eluderla con varie cavillose distinzioni, le quali tutte si riducono a un sofisma, poichè fra l’essere e il non essere non vi è punto di mezzo; e laddove il delitto cessa di essere certo ivi precisamente comincia la possibilità della innocenza. Adunque l’uso della tortura è intrinsecamente ingiusto, e non potrebbe adoprarsi, quand’anche fosse egli un mezzo per rinvenire la verità.

Che si è detto mai delle leggi della Inquisizione, le quali permettevano che il padre potesse servire di accusatore contro il figlio, il marito contro la moglie! L’umanità fremeva a tali oggetti, la natura riclamava i suoi sacri diritti; persone tanto vicine per i più augusti vincoli, distruggersi vicendevolmente! La legge civile abborrisce siffatti accusatori, e li esclude. Mi sia ora lecito il chiedere se un uomo sia meno strettamente legato con sè medesimo, di quello che lo è col padre e colla moglie. Se è cosa ingiusta che un fratello accusi criminalmente l’altro, a più forte ragione sarà cosa ingiusta e contraria alla voce della natura che un uomo diventi accusatore di sè stesso, e le due persone dell’accusatore e dell’accusato si confondano. La natura ha inserito nel cuore di ciascuno la legge primitiva della difesa di sè medesimo; e l’offendere sè stesso, e l’accusare sè stesso criminalmente egli è un eroismo, se è fatto spontaneamente in alcuni casi, ovvero una tirannia ingiustissima se per forza di spasimi si voglia costringervi un uomo.

L’evidenza di queste ragioni anche più si conoscerà riflettendo, che iniquissima e obbrobriosissima sarebbe la legge, che ordinasse agli avvocati criminali di tradire i loro clienti. Nessun tiranno, che io ne sappia, ne pubblicò mai una simile: una tal legge romperebbe con vera infamia tutti i più sacri vincoli di natura. Ciò posto, chiederemo noi se l’avvocato sia più intimamente unito al cliente di quello che lo è il cliente con sè medesimo? Ora la tortura tende co’ spasimi a ridurre l’uomo a tradirsi, a rinunziare alla difesa propria, ad offendere, a perdere sè stesso. Questo solo basta per far sentire, senza altre riflessioni, che la tortura è intrinsecamente un mezzo