Beato me, se mai potrò la mente
Posar quïeta in più sereni obietti,
E sparger fiori e ricambiare affetti
Soavemente.
Cessi il mercato reo, cessi la frode,
Sola cagion di spregio e di rampogna;
E il cor rifiuta di comun vergogna
Misera lode.
Ma fino a tanto che ci sta sul collo,
Sorga all’infamia dalla nostra voce,
Di scherno armata e libero e feroce,
Protesta e bollo.
Come se corri per le gallerie
Vedi in confuso un barbaglio di quadri,
Così falsi profeti e balì ladri,
Martiri spie,
Mercanti e birri in barba liberale,
Mi frullan per la testa a schiera a schiera:
Tommasi, mi ci par l’ultima sera
Di Carnevale.
Ecco i miei personaggi, ecco le scene,
E degli scherzi la sorgente prima:
Se poi m’è dato d’infilar la rima
O male, o bene,
Scrivo per me, scemandomi la noia
Di questa vita grulla e inconcludente,
Torpido per natura, e impazïente
D’ogni pastoia.
Chi mira al fumo, o a quello che si conia,
Dalle gazzette insegnamenti attinga,
E là si stroppi il cranio, o nella stringa
Del De Colonia.