Tanta è la sua viltà che non ne giova:
E i bottegai de’ titoli lo sanno,
Ma tiran via perchè gatta ci cova.
Come di Corte riempir lo scanno
Che vuotan Conti tribolati? e come
Le forbici menar se manca il panno?
Volle di Cavalier prendere il nome,
Spazzaturaio d’anima, un Droghiere:
Bécero si chiamò di soprannome.
In diebus illis girò col paniere
A raccattare i cenci per la via,
Da tanto ch’era nato Cavaliere.
Trovo che fece anco un sinsin la spia.
Poi, come non si sa, l’ipotecario;
Di questo passo aprì la Drogheria.
E coll’usura e facendo il falsario,
Co’ frodi e con bilance adulterate,
Gli venne fatto d’esser milionario.
Volle, quand’ebbe i rusponi a palate,
Rubar fin la collottola al capestro,
E col nastro abbuiar le birbonate.
D’un Balì che di Corte è l’occhio destro
Dette di frego a un debito stantìo,
E quei l’accomodò col Gran Maestro.
Brillava a festa la casa d’Iddio
Tra il fumo degl’incensi e i lampadari:
D’organi e di campane un diavolìo
Chiamava a veder Bécero agli altari
A insudiciare il sacro ordin guerriero
Che un tempo combattè contro i Corsari.
A lui d’intorno il Nobilume e il Clero
Le parole soffiandogli ed i gesti,
In tutti lo ciurmavan Cavaliero.