Pagina:Viaggio in Dalmazia.djvu/109

Da Wikisource.

torno a’ fianchi da una cordicella di lana, che li chiude a foggia di sacco da viaggio. La camicia entra pochissimo in questi calzoni; perchè di poco oltrepassa il bellico, sino al quale i calzoni arrivano. Sopra di essa portano un giubbetto corto, cui chiamano Jaçerma, al quale in tempo d’inverno sovrappongono un piviale di grosso panno rosso; questo piviale dicesi Kabaniza, e Japungia1. In capo portano un berretto di scarlatto detto Capa, e sopra una spezie di turbante cilindrico nominato Kalpak. I capelli usano radere, lasciando un solo codino alla Polacca, e alla Tartara. Si cingono l’anche con una fascia rossa di lana, o di seta fatta a rete di grossa cordicella, fra la quale, e i calzoni annicchiano le loro armi, vale a dire una, o due pistolle di dietro, e dinanzi un enorme coltellaccio, detto Hanzàr, colla guaina d’ottone adorna di pietre false; questo è spesso raccomandato a una catena dello stesso metallo, che gira sopra la fascia. Nel medesimo nicchio sogliono trovar luogo a un cornetto tutto marchettato di stagno, in cui tengono del grasso per difendere l’armi dalla pioggia, ed ungere se medesimi, se camminando si scorticano in alcun luogo. Così pende dalla fascia una picciola patrona, nella quale tengono l’acciarino, e il denaro, se ne ànno; il tabacco da fumare è anch’egli raccomandato alla fascia, chiuso in una borsa fatta di vescica secca. La pippa tengono dietro alle spalle, cacciandone la canna fra la camicia, e la pelle col camminetto all’in fuori. Lo schioppo è sempre su la spalla del Morlacco allorch’egli esce di casa.

  1. Da queste voci derivano probabilmente le nostre, Gabbàno, e Giubbone.