Pagina:Viaggio in Dalmazia.djvu/296

Da Wikisource.

macchine gli antichi abitatori di quelle contrade abbiano potuto condurle sino a quel luogo. Per la maggior parte sono que’ massi enormi di figura parallelepipeda, e assai bene spianati; ve n’ànno parecchi di forma più barbara, e manierata; nessuno à Iscrizione, ma quasi tutti degli stemmi a bassorilievo.

Il pranzo era imbandito alle spese del Morlacco Vukovich, con tutta la profusione di vivande, che si poteva desiderare. Quel cortese galantuomo non intende parola d’italiano, ma intende perfettamente l’Ospitalità. Uno di que’ Sepolcri ci servì di mensa; ma mense ancor più curiose erano poste dinanzi a noi, e sostenevano due Agnelli arrosto, che ci furono arrecati. Erano queste focaccie d’azzimo stiacciate, destinate ad un tempo a servire di piatti, e di pane. Noi mangiammo d’alcuni de’ varj cibi apportatici con molto appetito; d’altri, ch’erano appunto i raffinamenti, e le delizie della cucina Morlacca, non potemmo gustare. Divorammo le focaccie, che ci sembrarono squisite; e Mylord alzò la voce verso di me, dicendo molto opportunamente: Heus, etiam mensas consumpsimus!

Il mangiare Morlacco rassomiglia di molto al Tartaro, come si somigliano le due Nazioni; e quindi non piacerebbe a tutti quelli, che sono avvezzi alle Tavole Francesi e Italiane. La tovaglia suol essere un tappeto di lana; salvietti usano di raro; e se ne ànno, sono di lana ancor essi. Con quel lungo e pesante coltello, cui ciascun Morlacco tiene alla cintola, fanno le parti; forchette non usano molto, e al più ne à una il Padrone di casa; di cucchiaj di legno, ed ànno ricchezza, e ponno provvederne (quando non ecceda il numero) tutta la compagnia; di bicchieri nella purità nazionale non si fa uso, poichè un vaso ragionevolmente grande di legno chiamato Bukkàra, in cui si