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VIAGGIO
 


trionfa; e se entrasti buono e savio, n’esci migliore e savissimo.

Fatti ch’ebbi questi conti, m’occorse di andare (ne mi ricordo perchè) nel cortile; so bensì ch’io scendeva per quella scala gloriandomi del vigore del mio raziocinio — Pera il tetro pennello! diceva io baldanzoso — s’abbia chi vuole, ch’io non l’invidio, l’abilità di dipingere i guai della vita con sì orribile e lugubre colorito: lo spirito si lascia sbigottire dalle cose ch’ei funesta e magnifica da per sè; riducale alla tinta e alla forma lor naturale, e le guarderà appena. E vero! dissi io moderando la proposizione; la Bastiglia non è disgrazia da riderne — ma tranne quelle sue torri — appiana il fosso — togli le spranghe alle porte — chiamala solamente una clausura; e poni che tu se’ prigione, non della tirannide, ma d’un infermità — la disgrazia si dimezza, e tu tolleri in pace l’altra metà.

Fui nel fervore del soliloquio interrotto da una voce che mi parve rammarichio di bambino, e dolevasi: «Che non poteva uscir fuori» — Guardai lungo l’andito; non vidi nè uomo, nè donna, nè bambino; e non ci pensai più che tanto.

Ritornando per l’andito, intesi dire e ridire le stesse parole, e alzando gli occhi, vidi unostor-