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LXIX. | IL CASO DI DELICATEZZA |
Come s’è tocca la vetta del Tarare, si corre all’ingiù sino a Lione — Addio per allora a tutti i celeri moti! vuolsi viaggiare con avvertenza, il che conferisce assai meglio a’ que’ sentimenti che non amano le fughe. M’acconciai dunque co’ muli d’un vetturale perchè nel mio sterzo mi conducessero a loro comodo, e a mio salvamento a Torino per la Savoja.
Povera, paziente, pacifica, onesta gente della Savoja! non temere: il mondo non porterà invidia alla tua povertà, che è il tesoro delle tue schiette virtù; e non invaderà le tue valli — o Natura! qui tu sembri adirata; e qui nondimeno tu sei propizia alla povertà creata anch’essa da te — qui ti sei cinta di edificj orribilmente magnifici, e t’è avanzato assai poco da concedere alla vanga e alla falce — ma quel poco è quieto,
solevano nella piazza delle chiese parrocchiali celebrare una danza solenne, tassando per ciaschedun un ballo i giovani in una crazia o un soldo, e di quel danaro crescevano l’offerta alla chiesa, e talora ne facevano la dote per una delle fanciulle maggiajuole. Un arcivescovo abolì questo rito» — Eppure anche S. Francesco ballava co’ suoi frati. V. Fioretti.