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iii. il «de uno» 777


segnatamente con l’ultracurialista Torno) coi quali non mai come allora l’apolitico Vico viveva in corrispondenza d’amorosi sensi — vollero, «tinti da una simulata pietá», non solo accusare il De uno d’irreligione, ma ricordare altresí che l’autore, fattosi poi cattolico cosí fervente, era ben caduto, nella sua prima gioventú, in «debolezze ed errori» precisamente religiosi. Due accuse, contro le quali gli annunzi dell’» eretico» Ledere non potevano nulla, e che, a ogni modo, erano tutt’altro che infondate: giacché, quale che fosse l’atteggiamento pratico assunto dal Vico, nella sua giovinezza, di fronte al movimento «ateistico» o libertinistico napoletano, sta in fatto che nel De uno, cosí come poi nel De constantia, nelle Notae e nelle due Scienze nuove, affiorano da ogni parte, sulle origini della civiltá e delle religioni, proprio quelle teorie lucreziane che trent’anni prima avevano indotto la Chiesa cattolica a intentare ai piú cari amici del Vico (il ricordato Galizia, Basilio Giannelli, Giacinto de Cristofaro e altri) il giá mentovato processo d’ateismo1. Senza dubbio, sin da quando vennero primamente formulate, il Vico s’era vantato di possedere, contro quelle accuse, uno «scudo», e non tanto nel parere del suo Torno, che sarebbe stato documento alquanto sospetto, quanto in una lettera elogiativa del suo Giacco2: una lettera, a suo dire, in cui sarebbe stato cosí ammirevole «il sublime tono del concepire, dal quale esce, come da sé, il gran parlare con la rara nota di una eroica naturalezza», che taluni amici dell’elogiato la avrebbero, mercé copie manoscritte, opposta sin da allora «all’altrui maladicenza», se proprio il Vico non avesse ritenuto piú opportuno non «innalzarla come bandiera di una inutil guerra con uomini de’ quali piuttosto si dee aver pietá». Ma, a dir vero, chi percorra quella tanto breve quanto non sapida letterina, nella quale, senza accennare nemmeno da lontano a una sola delle dottrine vicinane, il Giacco non dice altro che d’avere «con grandissima aviditá divorato» quel libro di cosí difficile intendimento in soli «sei giorni» (nel che è implicita la confessione d’averlo piú sfogliato che letto e certamente di non averlo capito), d’aver trovato appena credibile ch’esso potesse «esser opera d’un uom solo» e d’aver perciò benedetto «il Signore Dio per aver fornito

  1. Nicolini, Giovinezza, pp. 127-9 e Brevi cenni, pp. 14-6; e cfr. Croce, in Finetti, pp. x sgg. e 118.
  2. Quella del 19 settembre 1720 giá citata.