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116 libro primo - sezione seconda


CXIV

326L’equitá naturale della ragion umana tutta spiegata è una pratica della sapienza nelle faccende dell’utilitá, poiché «sapienza», nell’ampiezza sua, altro non è che scienza di far uso delle cose qual esse hanno in natura.

327Questa degnitá con l’altre due seguenti diffinizioni costituiscono il principio della ragion benigna, regolata dall’equitá naturale, la qual è connaturale alle nazioni ingentilite; dalla quale scuola pubblica si dimostrerá esser usciti i filosofi.

328Tutte queste sei ultime proposizioni fermano che la provvedenza fu l’ordinatrice del diritto natural delle genti, la qual permise che, poiché per lunga scorsa di secoli le nazioni avevano a vivere incapaci del vero e dell’equitá naturale (la quale piú rischiararono, appresso, i filosofi), esse si attenessero al certo ed all’equitá civile, che scrupolosamente custodisce le parole degli ordini e delle leggi, e da queste fussero portate ad osservarle generalmente anco ne’ casi che riuscissero dure, perché si serbassero le nazioni.

329E queste istesse sei proposizioni, sconosciute dagli tre principi della dottrina del diritto natural delle genti, fecero ch’essi, tutti e tre, errassero di concerto nello stabilirne i loro sistemi; perc’han creduto che l’equitá naturale nella sua idea ottima fusse stata intesa dalle nazioni gentili fin da’ loro primi incominciamenti, senza riflettere che vi volle da un duemila anni perché in alcuna fussero provenuti i filosofi, e senza privilegiarvi un popolo con particolaritá assistito dal vero Dio.