Pagina:Vico, Giambattista – La scienza nuova seconda, Vol. II, 1928 – BEIC 1964822.djvu/288

Da Wikisource.
282 appendice


che venissero le cittá, e che perciò i romani fussero stati gli eroi del mondo perché serbarono la giustizia dell’etá dell’oro fino che le leggi vi fussero portate da Atene! Ma — cotesto eroismo galante avendo noi in questi libri dimostrato esser una fola, una vanitá. e fattala veder sulla storia romana certa, dentro il tempo di cotesta finor cotanto ammirata romana virtú (stabilito da Livio fin alla guerra con Pirro, piú disteso da Sallustio fin alle guerre cartaginesi), co’ superbi, avari e crudeli costumi de’ nobili contro la povera plebe romana, — essi pareggiatori, ove credono di sporre i romani in comparsa di semidei, ne vanno a fare gli eslegi della vita bestiale e nefaria; onde debbono i deboli piú tosto esser ricorsi in Atene a salvare le loro vite dagli empi violenti di Obbes all’altare degli infelici di Teseo (com’abbiamo sopra spiegato) che all’Areopago per aver le leggi da ordinare la loro popolar libertá. Oltreché, qual libertá popolare era da ordinarsi in quella cittá, nella quale fin al trecento e nove (ch’è tanto dire quanto sei anni dopo esser venuta cotal legge da Atene) la plebe romana non era di cittadini, i quali lo ’ncominciaron ad essere col comunicarsi loro da’ padri il connubio, come sta pienamente in questi libri pruovato? E sono essi pareggiatori necessitati di convenirvi, i quali, dopo avere con minuta diligenza nelle [prime] dieci tavole ripartito le leggi confaccenti alla libertá popolare, e particolarmente la testamentaria (per la quale vedemmo sopra che Agide, re di Sparta, repubblica aristocratica, perché voleva comandarla a pro della plebe spartana, funne fatto impiccare dagli efori), [rapportano la legge che vieta ai plebei i connubi coi padri]. La qual legge Giacomo Gotofredo rapporta nella tavola undecima, in quel capo: «Auspicia incommunicata plebi sunto», e la rapporta in una delle due ultime, nelle quali conferirono molte delle leggi regie e molte romane costumanze. Perché la romana storia narra apertamente che Romolo aveva con gli auspíci fondato Roma, de’ quali auspíci noi per tutti questi libri abbiamo ad evidenza dimostrato essere state dipendenze tutte le parti del diritto cosí privato come pubblico de’ romani. E ’n conseguenza tutto il diritto civile romano in quel capo chiudesi dentro l’ordine de’ nobili; e cosí, d’una repubblica nelle prime dieci tavole ordinata popolare, con tal capo solo della tavola undecima, la fanno tutto ad un tratto severissima aristocratica.

1430Non diciamo quanto sapesse del buon gusto ateniese quel capo: che «’l reo infermo, citato, egli sull’asinello o dentro la carriuola comparisse innanzi al pretore»! quanto esprimeva della dilicatezza