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ragionamento primo - capitolo settimo 297


Ercoli, i lor Evandri (come si è appieno sopra pruovato), i romani, per dovunque uscirono, videro gli stessi costumi: nel Lazio, nell’Italia, nella Magna Grecia e nella Grecia oltramare, di cui le piú luminose cittá furono Sparta ed Atene, che la divisero tutta in due parti nella guerra peloponnesiaca, fatta tra loro per lo imperio del mare di Grecia. Onde Tacito disse, indovinando, il vero: che in cotal legge si era raccolto il fior fiore delle leggi di tutte le nazioni del mondo. E, finché durò la giurisprudenza antica (che fu finché Roma fu repubblica aristocratica, nella quale la giurisprudenza fu rigida, ch’aveva per obbietto la civil equitá), la legge si disse venuta da Sparta, che fu repubblica aristocratica; ma, invigorendo poi la giurisprudenza nuova (ch’è benigna ed ha per obbietto l’equitá naturale), indi in poi si disse venuta da Atene, che fu repubblica popolare, perché tal oppenione nacque ne’ tempi della romana libertá popolare, e sotto gl’imperadori ristò.

IV

1454Esse Tavole ci vennero dodici noverate dalla maniera di noverare delle prime genti, che con tal novero certo significavano ogni moltitudine: come i latini, avendo piú spiegate le menti, il fecero poi col numero «seicento»; e noi, che l’abbiamo spiegatissima, il facciamo col numero prima di cento, poi di mille, finalmente di cento e mille, per significar infiniti. Onde furono dodici gli dèi delle genti maggiori, dodici le fatighe d’Ercole, dodici i villaggi de’ quali Teseo compose Atene, i quattro tempi dell’anno divisi in dodici mesi, l’antichissime leghe delle dodici cittá dell’Ionia, di dodici cittá di Toscana, dodici le parti dell’asse. Cosí «dodici» furon dette le Tavole.