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304 appendice


VI

14656 Ch’i trattati de’ principi tra essoloro sono materia del diritto natural delle genti, perché sono sostenuti dalla forza ch’essi principi esercitano tra loro, ed altre potenze non se ne risentono; e molto piú se vi convengon anch’esse, e piú di tutto se esse li garantiscono.

VII

1467Che i regni e gl’imperi non, come le private servitú, s’introducono con la pazienza de’ sudditi, ma che essi sudditi, co’ loro costumi (i quali sono segni della nostra volontá piú deliberati e gravi che non sono le parole e le loro forimole, perché sono tanto volontari che niuna cosa piace piú che celebrare i propi costumi), essi vi convengono e gli stabiliscono; e quello: «pauci bona libertatis in cassium disserere» sono velleitá, perché la volontá efficace è quella con la quale, per celebrar i loro costumi, vivono soggetti al monarca.

VIII

1468Che non si può far forza ad un intiero popolo libero (il quale non è intiero se non sono tutti o la maggior parte di tutti), il qual ha quella magnanima disgiontiva spiegata con quella sublime espressione: «aut vivere aut occumbere liberos»; come il mostrano quattromila numantini, non piú, d’una picciola cittá smurata, i quali disfecero piú romani eserciti, e rendettero il loro nome si spaventoso a’ romani ch’in udir «numantino» fuggivano; talché fu di bisogno d’uno Scipione affricano (ch’aveva in Cartagine vinta stabilito a Roma l’imperio del mondo) per vincerla, e pure non ne riportò altro in trionfo ch’un mucchio di ceneri inzuppato del sangue di quelli eroi.

IX

1469Che l’eroismo de’ primi padri sulle famiglie de’ famoli nello stato di natura e poi de’ nobili sulle plebi de’ primi popoli nello stato delle cittá (che perciò nacquero aristocratiche), egli, nelle