Pagina:Vico, Giambattista – La scienza nuova seconda, Vol. II, 1928 – BEIC 1964822.djvu/69

Da Wikisource.


[SEZIONE SETTIMA]

TRE SPEZIE DI GIURISPRUDENZE

937Tre spezie di giurisprudenze ovvero sapienze.

938La prima fu una sapienza divina, detta, come sopra vedemmo, «teologia mistica», che vuol dire «scienza di divini parlari» o d’intendere i divini misteri della divinazione, e sí fu scienza in divinitá d’auspíci e sapienza volgare, della quale furono sappienti i poeti teologi, che furono i primi sappienti del gentilesimo; e da tal mistica teologia essi se ne dissero «mystae», i quali Orazio, con iscienza, volta «interpetri degli dèi». Talché di questa prima giurisprudenza fu il primo e propio «interpretari», detto quasi «interpatrari», cioè «entrare in essi padri», quali furono dapprima detti gli dèi, come si è sopra osservato; che Dante direbbe «indiarsi», cioè entrare nella mente di Dio. E tal giurisprudenza estimava il giusto dalla sola solennitá delle divine cerimonie; onde venne a’ romani tanta superstizione degli atti legittimi, e nelle loro leggi ne restarono quelle frasi «iustae nuptiae», «iustum testamentum », per nozze e testamento «solenni».

939La seconda fu la giurisprudenza eroica, di cautelarsi con certe propie parole, qual è la sapienza di Ulisse, il quale, appo Omero, sempre parla si accorto, che consiegua la propostasi utilitá, serbata sempre la propietá delle sue parole. Onde tutta la riputazione de’ giureconsulti romani antichi consisteva in quel lor «cavere»; e quel loro «de iure respondere» pur altro non era che cautelar coloro, ch’avevano da sperimentar in giudizio la lor ragione, d’esporre al pretore i fatti cosí circostanziati, che le formole dell’azioni vi cadessero sopra a livello, talché il pretore non potesse loro niegarle. Cosí, a’ tempi barbari