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[CAPITOLO SECONDO]

corollario
della sapienza di stato degli antichi romani

950Quindi nasce un problema, che sembra assai difficile a solversi: come ne’ tempi rozzi di Roma fussero stati sappientissimi di Stato i romani, e ne’ loro tempi illuminati dice Ulpiano ch’«oggi di Stato s’intendono soli e pochi pratici di governo»? — Perché, per quelle stesse naturali cagioni che produssero l’eroismo de’ primi popoli, gli antichi romani, che furono gli eroi del mondo, essi naturalmente guardavano la civil equitá, la qual era scrupolosissima delle parole con le quali parlavan le leggi; e, con osservarne superstiziosamente le lor parole, facevano camminare le leggi diritto per tutti i fatti, anco dov’esse leggi riuscissero severe, dure, crudeli (per ciò che se n’è detto piú sopra), com’oggi suol praticare la ragione di Stato; e sí la civil equitá naturalmente sottometteva tutto a quella legge, regina di tutte l’altre, conceputa da Cicerone con gravitá eguale alla materia: «Suprema lex populi salus esto». Perché ne’ tempi eroici, ne’ quali gli Stati furono aristocratici, come si è appieno sopra pruovato, gli eroi avevano privatamente ciascuno gran parte della pubblica utilitá, ch’erano le monarchie famigliari conservate lor dalla patria, e, per tal grande particolar interesse, conservato loro dalla repubblica, naturalmente posponevano i privati interessi minori; onde naturalmente, e magnanimi, difendevano il ben pubblico, ch’è quello dello Stato, e saggi, consigliavano d’intorno allo Stato. Lo che fu alto consiglio della provvedenza divina, perché i padri polifemi dalla loro vita selvaggia (come con Omero e Platone si sono sopra osservati), senza un tale e tanto lor privato interesse medesimato col pubblico, non si potevano altrimente indurre a celebrare la civiltá, com’altra volta sopra si è riflettuto.