Pagina:Vico, Giambattista – Le orazioni inaugurali, il De Italorum sapientia e le polemiche, 1914 – BEIC 1965567.djvu/238

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Ma dico che quel «cogito» è segno indubitato del mio essere; ma, non essendo cagion del mio essere, non m’induce scienza dell’essere. Tuttavia, l’autore nella sua Metafisica (p, 139) chiamando «fallace» il genio del Cartesio, e si in quella come nella Risposta dicendo che nell’analisi del Cartesio quel «cogito» è bensí «un segno indubitato», ma non mai «la cagion del nostr’essere», e però «non induce in noi la scienza del nostr’essere»; potremo noi rettamente argomentare che esso non confuta l’analisi del Cartesio, ma però la biasima; che esso l’approva, ma però la riprova. A ciò che osservato abbiamo intorno all’anima umana succede un altro picciol dubbio intorno a ciò che esso viene poi a dire dell’anima delle bestie (p. 169). La bestia, egli dice, chiamossi dagli antichi italiani «brutum», cioè immobile; imperciocché la bestia non ha in se stessa principio veruno di moto, ma in tanto sol si muove, in quanto dagli oggetti presenti, come una macchina, sospinta ne viene al moto. Dunque, io argomento, opinion fu degli antichi italiani che le bestie non costassero dí materia né fossero corpi, essenza della materia e del corpo essendo il conato, con cui sforzasi il corpo di muoversi, e questo conato essendo lo stesso moto. Molte e molt’altre cose a queste potriansi aggiungere, in quel libretto semplicemente accennate e supposte, le quali controvertendosi, quali infra’ peripatetici, quali infra’ moderni, e quali infra questi e quelli, sarebbe stato necessario il provarle molto piú, perché in quella metafisica con metodo affatto nuovo procedesi, e prendonsi le cose da affatto nuovi principi.

IV

Ma finalmente veniamo a quello eh’è di maggior importanza, cioè a ragione aver noi detto (p. 202), che «desidereremmo di veder provato ciò che a tutta l’opera è principal fondamento, anzi singolare : donde esso raccolga che nella latina favella