Pagina:Vico, Giambattista – Le orazioni inaugurali, il De Italorum sapientia e le polemiche, 1914 – BEIC 1965567.djvu/258

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Quello, che noi diciamo «immaginare», «immaginazione», pur da’ latini dicevasi «memorare» e «memoria»; onde «comminisci» e «commentimi» significano «ritrovare» e «ritrovato» o «invenzione», per quello, pur degno da notarsi, altro luogo ne\V Andrtana <*>, dove Carino, querelandosi della creduta malignitá e perfidia di Panfilo, dice: Hoccin’ est credibile, aut memorabile, tanta vecordia innata cuiquam ut siet, ut malis gaudeant, ecc. E pure l’ingegno è il ritrovatore di cose nuove, e la fantasia o la forza d’immaginare è la madre delle poetiche invenzioni: lo che non avvertendo i grammatici, dicono molte cose poco vere d’intorno alla Memoria, dea de’ poeti, alla quale essi ricorrono ne’ loro maggiori bisogni, e, con l’implorare l’aiuto di quella, danno ad intendere al volgo succedute le cose che narrano; ma in veritá essi l’implorano per ritrovar cose nuove. Ciò bastami per ritrarre che queste voci furono usate in cotal saggio sentimento dagli antichi filosofi italiani: ch’essi opinassero noi non aver cognizione alcuna, che non ci venga da Dio. Che poi ciò si faccia per via de’ sensi, come volle Aristotile ed Epicuro; o che l’imparare non sia altro che ricordarsi, come piacque falsamente a Socrate od a Platone; o che l’idee in noi sieno innate o congenerate, come medita Renato; o che Iddio tuttavia le ci crei, come la discorre Malebrance, nel quale volentieri inclinerei: lo lascio irresoluto, perché non volli trattare in quel libricciuolo cose di altrui.