Pagina:Vico, Giambattista – Le orazioni inaugurali, il De Italorum sapientia e le polemiche, 1914 – BEIC 1965567.djvu/290

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natura incerta, per seguitar la uniforme: laonde non per altro cercano il falso, se non per esser in certa forma piú veri (atque adeo falsa sequuntur, ut siut quodammodo veriores)». Giudica inoltre comodissima all’arte poetica la fisica de’ moderni, mentre i poeti sogliono per lo piú valersi di certe frasi, colle quali spiegano le cagioni naturali delle cose; il che fanno o per dar piú grandezza alle cose che dicono, o ad imitazione de’ buoni antichi poeti, che han preso dalla fisica le lor migliori espressioni. III. Dove poi passa a trattare degli aiuti, che conferiscono alla maniera di ben istudiare, fa vedere l’incomodo che ci ha recato l’essere pervenute a noi ridotte in arti molte materie, le quali dagli antichi si consideravano come pratiche della morale e civile filosofia; avvertendo aver ciò cagionato gravissimi danni alla poesia, all’eloquenza e all’istoria, e che, dappoiché di si fatte cose si scrissero l’arti appresso i greci, i latini ed i nostri, non ne uscirono artefici cosi eccellenti, che potessero paragonarsi a que’ primi, che innanzi dell’arti scritte fiorivano e che coltivarono la sola filosofia, o sia dell’ottima natura la sola contemplazione. Tratta piú diffusamente che d’altro della giurisprudenza ridotta in arte, e, per rimuoverne i danni e mostrarne l’utilitá, ne scrive un’istoria arcana, da niuno giurisconsulto o politico, prima di lui, avvertita. Mostra qual fosse la giurisprudenza de’ greci, appresso i quali essendo questa contenuta nella filosofia, nella prammatica delle leggi e nell’oratoria, ne nacque che infiniti di loro lasciarono volumi intorno alla filosofia, moltissimi ne fecero di orazioni, e nessuno intorno le leggi. Ma i filosofi de’ romani erano gli stessi giurisconsulti, e, non meno che i greci la sapienza, eglino definirono la giurisprudenza essere «notizia delle cose divine ed umane»; né altronde se ne istruivano che dall’uso istesso della repubblica, servendosene i patrizi come di un arcano della potenza. Primo in Roma a professare la giurisprudenza fu Tiberio Coruncanio, e dopo lui a’ soli figliuoli de’ patrizi e di uomini nobilissimi veniva questa insegnata; ond’ella come cosa sacra e i suoi dettami come misteri in Roma si custodivano: dove, all’opposto, l’oratoria era da uomini di minor grado e d’inferior nascita professata (»). Il pretore poi era mero custode del (i) Propriamente, il testo a questo luogo ha: «Anche nella repubblica romana i filosofi erano giurisconsulti, onde, non meno che i greci, definivano esser la giurisprudenza notizia delle cose divine ed umane, e non altronde se ne istruivano che