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Pagina:Vico - Autobiografia, carteggio e poesie varie, 1929 - BEIC 1962407.djvu/189

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XXVI

DEL PADRE GIACCO

Risponde, ringraziando, alia lettera precedente.

Il crudo spettacolo di morte che per lungo spazio ho io qui avuto sugli occhi in un nostro religioso fratello, che finalmente è passato dal tempo all’eternitá, mi ha riempiuto per modo l’animo, che non mi ha permesso di prima rendere a Vostra Signoria, mio signore, quelle grazie che ora vi rendo moltissime della orazione, di cui vi siete degnato di farmi il pregiatissimo dono. Io l’ho letta non una ma ben tre e quattro volte, e sempre con quel piacere che ad animo ingenuo e sincero recar suole il maschio e verace bello di una eloquenza grande e signorevole. Mi piace di credere che un pari affetto avrá cagionato in tutti coloro che sono giudici competenti di simigliami difficilissimi lavori, e che perciò ve n’abbian data quella lode alla quale voi generosamente sovrastate per la secura coscienza di meritarla lungamente maggiore. Cosi aveste voi, signor mio, piú spesse le occasioni di essercitare in opere si fatte il vostro conosciuto valore, come non arebbe la italiana favella, in questa parte che a lei manca, di che invidiare alla latina! Ma l’infelicitá del nostro secolo tradisce l’adempimento di un desiderio che, se non ispunta in cuore a molti, la è colpa o della negligenza o della malizia. Godete voi, signor mio, di voi stesso e di que’ doni ond’è ricca la vostra grand’anima, e facciánci a sperare dalla Provvidenza ciò che a torto ci vien dinegato dagli uomini, poco o nulla estimatori della virtú quando che sposata non sia ad una splendida fortuna. Del rimanente, continovatemi, vi priego, la vostra buona grazia e datemi il come giustamente godere del per me troppo onorevol titolo di vostro, ecc. —

Arienzo, 15 luglio 1724.