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che ’n lavori celesti entro le stelle spaziavan le lor menti divine, sceser quaggiú le sante suore in terra; non giá per consecrare ampie virtudi che conferirò de’ gran beni al mondo, ma piú per condennar robusti vizi che strepito facean di gloria e vanto.

Ed Omero, di tutti altri poeti per merto e per etá principe e padre, cantò con chiara alta sonora tromba í violati ospizi dal troiano, quando armar d’ira il risentito Achille e di frodi infiammar le faci greche, ond’ in cener cadeo Ilio distrutto; e quanto mai senno e valor fermáro al ben accorto e tollerante Ulisse gli error del mar irato, e piú del mare le Calipsi, le Circi e le sirene, per punire in un di ben mille offese fatte al suo onor da’ dissoluti proci, ghiotti, infingardi, giucatori e vani assediator de la pudica moglie.

Però le caste dèe, pudiche e sante, ravvolgendo in sozzure i puri spirti, indebolirò il generoso e maschio ingegno che sortir dal padre Giove.

E con mostrose maschere caprine salir su i plaustri; e quelle che mai sempre bevute avean le sacre linfe e pure, quali salian dal limpido Ippocrene, di vin bagnate con ridevol motti notar di vizi i re, gli eroi, gli dèi.

Indi osar comparire in su le scene ed esporre i conviti empi e nefandi di fatti in brani pargoletti figli, pòrti in vivande agl’infelici padri;