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talché, per non veder le infami mense, ritorse indietro il suo cammino il Sole.
Da tai scelleratezze atre esecrande, benché per detestarle e farne orrore, 140a le vergini dive
pur profanati indi i pietosi petti, degeneráro alfine in reo costume; e, burle atroci a la virtute ordendo, a’ santissimi Socrati tramáro 145le sempre piante ed onorate morti.
Cosi quelle che prima per felice natura eran portate cantar sole virtú divine e grandi, col volger tempo e col cangiar costume 150furo per legge teatral costrette
sotto finte persone e con civili motti ed innocenti de la vita insegnar privati ufizi.
E quella lira alfine,
155ond’ Apollo tessè inni agli dèi,
che recatasi in seno il forte Achille cantava i fatti di piú grandi eroi, si diede a celebrare in Isruo ed in Elea
160il lottatore vincitor del giuoco,
o con l’ardenti rote chi del volante cocchio schivò la meta e non v’infranse l’asse; e tali innalzò al ciel entro gli dèi.
165Ciò soltanto restava (e pur avvenne)
che le caste donzelle, fatte d’Amor ancelle, tributasser cantando a bellezza mortale onor divini,
170e loro rassembrasse a’ numi eguale
chi di Lesbia contempli il divin volto,