Pagina:Vico - Autobiografia, carteggio e poesie varie, 1929 - BEIC 1962407.djvu/381

Da Wikisource.

in Arcadia la lapide di cui s’è giá discorso (p. 88), e nella quale indica se stesso col nome arcadico di Doralbo Triario.

XIV. — Gaetano Brancone, figliuolo di quel Giovanni che nel 1697aveva ottenuto contro il V. il posto di segretario della cittá di Napoli (p. 112) e anch’egli nel 1720 titolare di siffatta carica, era allora segretario della Reai Camera di Santa Chiara e fu dal 1737segretario di Stato per l’Ecclesiastico. Versi di lui non mancano nelle raccolte del tempo. — Il principe di Sansevero è il famoso «inventore» Raimondo di Sangro (1710-71), che il V., amico e frequentatore della casa di suo padre, Paolo di Sangro duca di Torremaggiore (?-i73o circa), cultore di filosofia e di poesia, conosceva da bambino. E da bambina, altresi, il Nostro conosceva la sposa, Carlotta Gaetani, figliuola di Nicola (cfr. p. 289) e di Aurora Sanseverino (p. 289).

XV. — Che il V. indirizzasse il presente sonetto alla duchessa d’Erce (pp. 271, 294) è affermato dal Villarosa.

XVI. — Ferdinando Carafa dei principi di Belvedere, quantunque negato alla poesia, aveva la debolezza di comporre moltissimi versi. Tra essi fu il poema in versi sciolti La Santa Fede , che il Carafa, forse, voleva ripubblicare emendato e fregiato di componimenti in sua lode, tra i quali il presente sonetto. Il «Chirone ispano», cioè l’aio di Carlo di Borbone, era, non come affermò il Villarosa e ripeterono i posteriori editori, il Montealegre, bensi Emanuele Benavides conte di Santostefano, figlio del viceré la cui partenza da Napoli aveva pòrto occasione a W’oratio del V. (p. ni).