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262 libro secondo - sezione seconda - capitolo terzo

cemviri. Siane pur qui una dimostrazione il lusso greco de’ funerali, che i decemviri non dovettero insegnarlo a’ Romani col proibirlo, ma dopoché i Romani l’avevano ricevuto; lo che non potè avvenire se non dopo le guerre co’ Tarantini e con Pirro, nelle quali s’incominciarono a conoscer co’ Greci: e quindi è che Cicerone1 osserva tal legge portata in latino con le stesse parole con le quali era stata conceputa in Atene.

VIII


Così Dragone, autore delle leggi scritte col sangue nel tempo che la greca storia, come sopra si è detto, ci narra ch’Atene era occupata dagli ottimati; che fu, come vedremo appresso, nel tempo dell’aristocrazie eroiche, nel quale la stessa greca storia racconta che gli Eraclidi erano sparsi per tutta Grecia, anco nell’Attica, come sopra il proponemmo nella Tavola cronologica2; i quali finalmente restarono nel Peloponneso e fermarono il loro regno in Isparta. la quale truoveremo essere stata certamente repubblica aristocratica. E cotal Dragone dovett’esser una di quelle serpi della Gorgone inchiovata allo scudo di Perseo, che si truoverà significare l’imperio delle leggi, — il quale scudo con le spaventose pene insassiva coloro che ’l riguardavano (siccome nella storia sagra, perchè tali leggi erano essi esemplari castighi, si dicono «leges sanguinis»); e di tale scudo armossi Minerva, la quale fu detta «Ἀθηνᾱ», come sarà più appieno spiegato appresso; e appo i Chinesi, i quali tuttavia scrivono

per geroglifici (che dee far maraviglia una tal maniera poetica di pensare e spiegarsi tra queste due e per tempi e per luoghi lontanissime nazioni), un dragone è l’insegna dell’imperio civile, — perchè di tal Dragone non si ha altra cosa da tutta la greca storia.



  1. Cic, De leg., II, 25: «Posteaquam... sumptuosa fieri funera et lamentabilia cœpissent, Solonis lege sublata sunt. Quam legem eisdem prope verbis nostri decemviri in decimam tabulam coniecerunt: nam de tribus riciniis et pleraque illa Solonis sunt; de lamentis vero expressa verbis sunt: «Mulieres genas ne radunto, neve lessum funeris ergo habento».
  2. Si veda p. 84.