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Pagina:Vittorelli - Poesie, 1911 - BEIC 1970152.djvu/298

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4

Sollecito m’inoltro e in un momento
erti dirupi e lunga strada io varco,
che tal non fugge con propizio vento
cidonio strale dal flessibil arco.

Quand’ecco il ciglio stupefatto e intento
su l’ardue torri e le muraglie inarco;
ché a la falda natia d’eccelso colle
nobil cittá superbamente estolle.

5

Giunto a le ròcche un fino aer mi punge,
che i lenti spirti ed assottiglia e cribra,
e quei vapori neghittosi emunge
ond’era zeppa l’incallita fibra.

Il monte, il monte che fiorir non lunge

10 miro a la cittá, quest’aer vibra;
e a l’urto scotitor desio mi prese
di bella gloria e d’onorate imprese.

6

Tento da prima il siracusio bosco,
ove natura si nasconde al volgo;
e giá smarrito nel cammin piú fosco
senza nulla indagar cieco m’avvolgo.

Su le bell’orme poi del maggior tòsco
al florido Elicona il piè rivolgo:

Musa non è che giovincel mi scorga,
né Tacque al pregar mio Castalia sgorga.

7

Entro veloce nel palladio arringo
e la quadriga demostenea incalzo;
ma nel corso evitar non so guardingo

11 periglioso (o Dio!) marmoreo balzo.
Lucidissimo vetro in man poi stringo
e ai globi medicái lo sguardo innalzo:
ma fra i pianeti de l’aereo mondo
astronomo novello io mi confondo.