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Gli Austriaci costituito un considerevole corpo di truppe rinnovarono questa volta, con più fortuna, il tentativo di domare la rivolta.

Guidati da alcuni traditori, per nascosti sentieri, essi poterono sorprendere le scarse forze che difendevano il Bisbino, e quindi di là passare in Valle Intelvi, dove si dettero a saccheggiare quelle povere abitazioni. L’osteria del Brenta venne incendiata, così venne tolto alla sua famiglia ogni mezzo di guadagno.

Dalle poche carte relative ai moti di Valle Intelvi, che si conservano nel museo civico di Como rileviamo che Giovanni Venini di Varenna il 27 ottobre elargì alla cassa del Comitato della Valle Intelvi N. 2 pezzi da 20 franchi, 8 quarti di Genova e 40 svanziche, in tutto L. 244.

Il Brenta cercava rifugio in Svizzera, ma il governo federale cedendo alle ingiunzioni di Radetzky gli intimava di abbandonare il territorio della confederazione. Dopo una sequela di dolori, di miserie e di stenti d’ogni maniera, il Brenta saputo che il Piemonte preparava una nuova guerra contro l’Austria, scese dalle montagne dove s’era tenuto celato e si recava a Torino. Là ricevette istruzioni da quel Comitato dell’emigrazione italiana e ripartì per i suoi paesi a suscitarvi l’insurrezione.

Giunse a Como e fu fra i capi della rivolta. Il 29 marzo 1849 mentre nella città si respirava aria di libertà capitò nella piazza di Como un commissario austriaco.

Il Brenta sopraggiunge lo arresta, e gli fa scrivere questo biglietto al Colonnello comandante le truppe di Varese: * Non venga a Como la città essere tutta in arme, il popolo deliberato a battersi, o vincere o morire»1.

Rioccupata Como dagli austriaci ritornò nella sua valle dove radunato un pugno di giovani, una trentina circa e fra questi qualcuno della compagnia Dolzini che si era sciolta in quei giorni, con questi pochi si apparecchiava ad una animosa difesa, quando nelle feste di Pasqua del 1849, sull’albeggiare, i traditori introdussero un nuvolo di croati e di sgherri nell’abituro in cui si teneva celato, i quali lo arrestarono con due suoi fidi. Furono questi Giovanni Battista Vittori di Saltrio e Andrea Andreetti di San Fedele.

Sottoposti ad un consiglio di guerra furono i tre compagni condannati alla fucilazione. Altri quattro dei suoi erano prima del Brenta caduti nelle mani degli austriaci, dei quali due erano stati fucilati, due graziati.

Ecco la notificazione delle condanne:

  1. Biblioteca Storica Italiana. Volume VI. - I moti insurrezionali di Lombardia nel 1849. Capolago Tip. Elvetica, 1851. Pag. 91.