Pagina:Vittorio Adami, Varenna e Monte di Varenna (1927).djvu/432

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appendice 423

faccia al cortile che occupandone tutta la facciata fuorchè dai lati tanto che la fanno rassomigliare ad un’aprica loggia tanto bene aggiustati sono gli scalini di marmo delle comode scale e dei cancelli di ferro che le servono d’appoggio. Sotto questa volta evvi un nicchio di spugnoso tufo e di rozzi massi posti come a caso in ordine disordinato.

D’un cavernoso antro struscia fuori nel mezzo aereo serpente che con larga bocca vomita copia di acquose spume nel supposto pelaghetto... Entro vedonsi per lo più trote così ben panciute che al curioso straniero si presenterebbero come tanti tritoni che allettati dalla limpidezza di queste lucide Ninfe, lasciate le loro cerulee Nereidi, godessero d’intromettersi anche fra le Naiadi. . . . . . . . .

Resta in fine ognuno a pieno soddisfatto nella leggiadra mostra dell’esterna facciata che con molta grazia incrostata di colorite pietruzze con musco dimostra al vivo vari capricci a mosaico....

Una semplice ferrata si apre a due parti e risponde alle altre due che aggiuntatamente per disopra e disotto chiudono l’accennato cortile, una delle quali, cioè quella di testa, una semplice ferrata, dico, che con venustà s’alza dal marmoreo suolo, e serve per cortina alla vaga collina di questa nuova prospettiva che termina in una superba nicchia, alla quale con pari stupore di manierose scene fanno ordinato corteggio, quinci e quindi ben compartite sei altre fonti sorgenti d’un marmoreo Caiino (sic) che detta nicchia han del bitorzoluto seno. . . .

La nicchia che con maestà veramente regale attrae a sè gl’occhi tra le peregrine politi di cui un leggiadro artificio resta per di fuori intorno intorno fregiata con tanta grazia ostenta nella cima l’arma Sfondrata. . . . . . . .

Li viali che in fine spaziosi in lungo si dilatano in cui la famiglia di flora con gentil maniera per far più bella mostra si avanza sugli orti delle substrutte mura, le stendono fioriti arazzi sopra del suolo...

Non devo nè amo di tanto allontanarmi che io lasci di dire esser questa gran fontana addimandata la Fonte Uga forse dall’amistade che stretta tiene».

. . . . . «L’abate Giovio in un elegante sonetto mischiando alla verità della storia la piacevolezza dell’invenzione descrive la proprietà di quest’acqua efficace».

«di tal virtù che i pesci morti avviva
E i vivi priva del vital lume».

Il nostro scrittore prosegue paragonando le bellezze dei giardini della Capoana alla sede dell’Accademia del divino Platone.

Descrive poi in brevi parole l’oratorio della villa dedicato alla Vergine, segue una descrizione particolareggiata del museo: «La sovrana