Pagina:Vivanti - I divoratori, Firenze, Bemporad, 1922.djvu/233

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i divoratori 221


— Mi farebbero l’onore di venire ad udire il «Tannhäuser» domani sera, nel mio palco all’Opera House?

Un lampo guizzò dai maliziosi occhi della signora Van Osten, un abbagliante sorriso lampeggiò e svanì.

Suo marito le pose una pesante mano sulla piccola spalla nuda.

— Siamo impegnati, — disse. — Grazie.

E quel ringraziamento era concludente e definitivo.

La signora Van Osten sporse ad Aldo una manina fredda, tenendo poggiato al braccio di suo marito il piccolo viso arguto ed estasiato.

Aldo s’inchinò e partì.


L’indomani era sabato. Sul suo scrittoio giaceva la busta lilla di tutti i sabati. Aldo l’aprì. Conteneva un biglietto da 500 dollari.


Il lunedì seguente Aldo, arrivando nello studio, trovò la giovane signora Van Osten che lo aspettava.

— Adesso, per un mese o due, non avrò più bisogno di voi, — disse ella, pensosa. — Ma temo — e sospirò — che l’effetto benefico che avete prodotto su mio marito non durerà in eterno.

— Nulla dura in eterno, — sentenziò Aldo, sedendosi per abitudine davanti allo scrittoio.

— Ebbene, — disse la signora, — appena egli ricomincia — e qui un nuovo sospiro — vi manderò a chiamare. Per il momento è meglio che non veniate in casa. Però, aggiratevi... così, a distanza. E mandatemi dei fiori. Ordinateli da Shotwell, in Broadway, e ditegli che mi mandi il conto. Potreste anche passare sotto al balcone. Ma non esagerate! Capite bene che se una volta mio marito vi mette alla porta, tutto è finito... tutto diventa impossibile.

— Già, — disse Aldo.