Pagina:Vivanti - Vae Victis, Milano, Quintieri, 1917.djvu/355

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Chérie si levò in piedi e s’appressò alla finestra — la finestra tonda come quella della cabina d’una nave — e la spalancò. La luce lunare piovve per entro la stanza innondandola d’un effuso, latteo chiarore.

«Luna, addio!» disse Chérie. «Addio, notte. Addio, cielo. Addio, tutto!»

Poi si volse e tornò presso la culla. Si chinò e sollevò tra le braccia il bambino che dormiva.

Come era tepido e tenero e piccolino! Non bisognava che prendesse freddo — pensò istintivamente — e si guardò intorno cercando qualcosa con cui coprirlo. Prese dal cassetto una grande sciarpa di seta celeste, e l’avvolse intorno a sè ed al piccino: faceva fresco fuori in quella bianca chiarità lunare, e dovevano andare lontano.... bisognava passare il ponte sull’Ourthe e scendere per l’altra riva del fiume, attraversando tutta quell’erba alta e umida intorno al vecchio mulino....

Più in là vi era un posto dove la sponda scendeva meno ripida e la corrente era più forte; ivi, chiudendo gli occhi e affidandosi a Gesù, sarebbe entrata, correndo, nell’acqua....

Le pareva già d’esserci, tanto sentiva vivida l’impressione che ne avrebbe avuto. Tante volte a Westende l’anno scorso era corsa così dentro