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vae victis! 39

che Cecilia lo aveva paragonato a Lohengrin. Io trovai che somigliava forse più a Carlo il Temerario o a Cid el Campeador. Egli c’informò che il suo reggimento era accampato sulle sponde della Mosa in attesa d’ordini. S’aspettava da un istante all’altro d’essere mandato alla frontiera. Mentre egli ci narrava questo, il suo cavallo — un sauro magnifico — s’impennava e indietreggiava capriolando con passo di danza, come un cavallo da circo. Lui stava in sella, ritto e immobile, e mi sorrideva col sole negli occhi.

Mi promise, che, se non lo mandavano al fronte, sarebbe venuto senza fallo il giorno 4 a farmi gli auguri. Anche se non gli concedevano che un’ora sola di congedo. Gli ricordai che infatti egli non aveva mai mancato di venire a trovarmi in quel giorno; fin dal primissimo anno che arrivai in casa di mio fratello Claudio.

Ricordo perfettamente quel primo compleanno. Compivo — in quel lontano 4 di agosto — gli otto anni, e avevo perduto un mese prima il papà e la mamma a Namur.

Lulù mi dice ancor oggi che in quell’epoca ero una piccola selvaggia, scontrosa e tremante nei miei vestitini da lutto; piangevo sempre e avevo paura di tutto e di tutti.