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— «O Amrah, buona, Amrah» — egli le disse. — «Dio ti aiuti; io non lo posso.» —

Essa non potè articolar parola.

Egli si chinò su di lei, e sussurrò: — «Vivi, Amrah, per Tirzah e per mia madre. Esse torneranno, e....» —

Un soldato la afferrò. Essa si divincolò e corse attraverso la porta, nella casa vuota.

— «Lasciatela andare!» — gridò l’ufficiale. — «Suggelleremo la casa, e morrà di fame.» —

Gli uomini ripresero il loro lavoro, e, quando fu terminato, passarono dalla parte occidentale. Anche questa porta fu inchiodata, e il palazzo dei Hur chiuso per sempre.

La coorte ritornò alla Torre, dove giaceva il Procuratore per guarire delle sue ferite e disporre dei prigionieri. Il decimo giorno dopo questi avvenimenti rientrò in città.


CAPITOLO VII.


All’indomani una pattuglia di legionarii si avvicinò al palazzo desolato. Dopo aver chiuse le porte, stuccò i lati con cera, e sul tavolato inchiodò il seguente cartello in latino:


Proprietà dell’Imperatore


Il giorno susseguente, verso mezzodì, un decurione col suo seguito di dieci cavalieri, si avvicinò a Nazaret da oriente, cioè in direzione di Gerusalemme. La località era allora occupata da un piccolo villaggio appollaiato sopra una collina, e così insignificante che la sua unica via era appena battuta dagli zoccoli dei cavalli dei soldati, e dai piedi dei pochi abitanti. La grande pianura di Esdraelon si stendeva a sud, e dalle alture orientali si potevano scorgere le coste del Mediterraneo e le regioni oltre il Giordano e il Hermon. La vallata sottostante e la campagna tutto all’ingiro erano coltivate a giardini, vigne, orti e prati. Gruppi di palme davano un colorito orientale al paesaggio. Le case, irregolarmente disposte, erano povere d’apparenza, quadrate, a un sol piano, inghirlandate da viti verdissime.