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— «Dammi dell’acqua, mamma, un po’ d’acqua! Anche una goccia sola mi basterebbe!» —

La madre si guardò attorno confusa ed impotente a soddisfarla.

Ella aveva nominato Dio così spesso; aveva promesso in nome suo, ed ora le sembrava che il ripetere la preghiera sarebbe stato uno scherno.

Un’ombra passò davanti alla feritoia, oscurandole la luce fioca, ed ella pensò alla morte che si avvicinava sempre più e l’attendeva mentre la sua fede andava man mano scemando.

Inconscia delle sue azioni, parlando come un automa perchè essa doveva parlare per confortar la figlia, disse di nuovo:

— «Abbi pazienza, Tirzah; vengono; son quasi qui.» —

Le parve di udire un rumore proveniente dalla cella vicina, la loro unica comunicazione col mondo esterno. Infatti non s’era sbagliata.

Dopo un minuto o due il grido del forzato risuonò attraverso la cella.

Anche Tirzah lo sentì ed entrambe si alzarono tenendosi per mano.

— «Sia ringraziato per sempre il Signore!» — esclamò la madre col fervore di una persona che avesse ricuperata la fede e la speranza.

— «Olà» — sentirono gridare, e poi: — «Chi siete?» —

La voce era sconosciuta. Che cosa accadeva? Eccettuate le parole scambiate con Tirzah queste eran le prime e le sole che essa avesse udito in otto anni. Che gran salto — dalla morte alla vita — e che salto repentino!

— «Una donna d’Israele, qui sepolta con sua figlia. Aiutateci presto o morremo.» —

— «Fatevi animo. Ritornerò.» —

Le donne ruppero in forti singhiozzi. Erano state trovate e si veniva in loro aiuto.

Di desiderio in desiderio le loro speranze volavano veloci, come le rondini.

Poichè si sapeva dov’esse erano, verrebbero anche liberate. Avrebbero ricuperato tutto ciò che avevano perduto: casa, amici, possedimenti, libertà, figlio e fratello! La scarsa luce celava loro ancora le bellezze del giorno, ma, immemori delle sofferenze, della sete e della fame, del pericolo continuo di morte, le due donne caddero per terra piangenti, tenendosi strette l’una all’altra.