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porte della città che si chiuderanno per sempre dietro di noi.» —

Tirzah si lasciò cadere sulle pietre.

— «Ah, sì!» — ella disse fra i singhiozzi; — «Dimenticavo. Credevo di andare a casa. Ma siamo lebbrosi, e non abbiamo casa; apparteniamo ai morti!» —

La madre si abbassò e la sollevò teneramente, dicendo:

— «Non abbiamo nulla a temere. Andiamo avanti.» —

E in verità, alzando semplicemente le loro mani, esse avrebbero messo in fuga una intera legione.

Avanzandosi pian piano, rasente alla muraglia, procedettero come due fantasmi, sinchè arrivarono alla porta, davanti alla quale esse pure si fermarono. Vedendo l’asse, montarono sul gradino, e lessero la scritta:


Questa è proprietà dell’Imperatore


Allora la madre giunse le mani, e con gli occhi rivolti al Cielo, gemette con indicibile angoscia.

— «Che cosa c’è mamma? Tu mi spaventi!» —

Lentamente essa rispose: — «Oh! Tirzah, i poveri muoiono! Egli è morto!» —

— «Chi, mamma?» —

— «Tuo fratello! Tutto gli fu tolto — tutto — perfino questa casa!» —

— «Povero!» — disse Tirzah con sguardo smarrito — «Egli non potrà mai aiutarci.» —

— «E allora, mamma?» —

— «Domani, domani, figlia mia, troveremo un posto presso la strada, e chiederemo l’elemosina come fanno i lebbrosi; mendicheremo,» —

Tirzah si appoggiò di nuovo alla madre e con voce fioca bisbigliò:

— «Morire, morire!» —

— «No!» — disse la madre con prontezza. — «Iddio ha fissata la nostra ora, e noi siamo credenti in Dio. Lo rispetteremo anche in questo. Andiamo.» —

Ella afferrò la mano di Tirzah mentre parlava e insieme voltarono l’angolo ovest della casa, sempre rasentando il muro. Non trovando alcuno proseguirono fino all’altro angolo sfuggendo il chiaro di luna, che illuminava tutta la facciata meridionale e parte della strada.

Ma il desiderio della madre era forte. Lanciando uno sguardo indietro ed in alto verso le finestre, entrò nell’area illuminata attirando seco Tirzah; allora apparve in