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bile. Sarebbe andato e tornato di notte. Ella dovette starsi contenta di questa decisione; soddisfatta, subito si occupò di cercare ogni mezzo per rendergli piacevoli queste visite di sfuggita.

Non le passava per la testa che egli era già un uomo, e i suoi gusti giovanili si sarebbero potuti cambiare.

Si ricordava che da bambino era appassionatissimo dei dolci, e decise di prepararne varie qualità e averle sempre pronte ogni volta che egli veniva.

Non era una idea felice forse? Così la sera seguente, più presto del solito, ella uscì, col suo cesto, ed andò al mercato della Porta dei Pesci.

Girando di qua e di là, in cerca del miglior miele, le accadde di udire un uomo raccontare una storia.

Quale era questa storia, il lettore si potrà facilmente immaginare quando sappia che il narratore era uno degli uomini che avevano tenuto le torcie per il comandante della Torre di Antonia, allorchè fu demolita la porta della cella numero VI.

Ella udì tutti i particolari della scoperta e insieme i nomi dei prigionieri.

Ascoltò il racconto trattenendo il fiato, temendo di perdere una parola.

Terminate le sue compere, ritornò a casa, credendo di sognare. Quale felicità poteva procurare al suo protetto! Aveva trovata sua madre!

Ella pose in un canto il canestro, ora ridendo, ora piangendo. Tutto ad un tratto si fermò e pensò. Il sentirsi dire che sua madre e Tirzah erano infette dalla lebbra, lo avrebbe esposto alla morte. Egli si sarebbe recato nell’orrenda città sopra la collina del Cattivo Consiglio, bussando alla porta di ogni tomba infetta, senza pace, domandando di loro, e la malattia avrebbe colto anche lui; il loro destino sarebbe stato anche il suo.

Ella si torse le mani. Che cosa doveva fare?

Come tanti prima di lei, e tanti fecero dopo, traendo dall’intensità dell’affetto ispirazione, se non saggezza, venne ad una conclusione singolare.

I lebbrosi, ella lo sapeva, solevano ogni mattina discendere dalle loro sepolcrali dimore sulla collina, e prendere una provvista d’acqua per la giornata, dal pozzo En-rogel.

Portavano le loro anfore, le appoggiavano per terra ed aspettavano, stando lontano, finchè fossero riempite. A quel pozzo la sua padrona e Tirzah dovevano venire; poichè