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aver trovato la loro perfezione ideale nel tragico dolore cui le condizioni fisiche della loro patria li condannavano. Ora, questi organismi, che io mi figuro, in un certo periodo della storia della Luna, semplicissimi e raffinatissimi, debbono aver rivolto, necessariamente, il loro pensiero alla Terra, al gigantesco globo che, per la sua forza e le esigenze del suo sviluppo, toglieva al piccolo astro satellite, a poco a poco, le ragioni essenziali della sua vita; la velocità del movimento di rotazione e la ricchezza dell’oceano aereo.
Perché, una volta ammessa questa mia teoria, fondata su probabilità indiscutibili, non accettarne le conseguenze? Un giorno lontano, gli scienziati lunari meditarono di arrivare fino alla Terra, per conoscere gli abitanti di quel globo e trattare con essi una specie di patto di assistenza: con metodi che noi non sapremmo immaginare, attuarono il loro disegno: anche essi, come noi abbiamo fatto, percorsero i 400.000 chilometri di spazio separanti la Luna dalla Terra, e si trovarono in un mondo che, certo, dové apparire alla loro debolezza fisica immenso e selvaggio. Forse questo viaggio fu compiuto quando gli uomini abitavano ancora le caverne: nell’età della pietra, per intenderei. Il nostro