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Seguiam l’alpestre grave strada antica,
E ’l piè tant’osa più quant’è più stanco.
IX
Or, che tanto da voi lontano io vivo,
Dolce mia pena, il cor languisce e manca,
Nè per lieve sperar più si rinfranca
Del lungo aspettar suo ben sazio e schivo.
5Invan per questi campi al prato, al rivo,
Pasco d’altro Seren l’anima stanca,
Che al paragon del Bello, che ci manca,
Riesce ogn’altro a lei pascol nocivo.
Ben tengo una non so qual vaga immago
10Di lei, serbata già da’ miei pensieri:
E spesso al cor la mostro, e non l’appago;
Ch’e’ va gridando: o pensier menzogneri!
Come d’un Bel divinamente vago
Voi ritrar mai potrete i raggi veri?
FILIPPO LEERS
I
Qual Augellin, che da lontana parte
Torna a veder l’arbor nativo e il lido,
Pieni di desio del dolce antico nido
Cercal di ramo in ramo a parte a parte:
5Ma vede poi sulle reliquie sparte
Covare il serpe velenoso infido;
Ond’innalzando i lai canori e ’l grido,
Carco di doglia e disperato parte.
Tal’io men vò scorto dal van desìo,
10Alto gridando: Ohimè l’almo ricetto,
Ohimè l’Amore, ohimè l’albergo mio!
Perchè in quel vago, ahi non più vago petto,
Ov’abitammo un tempo Amore ed io,
Trovai, cercando Amore, odio, e dispetto.