Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
249 |
IV1
O Gran Lemene, or che Orator vi fe’
Meritamente l’inclita Città,
Io vi voglio insegnar come si fa
Ad esser Orator d’Ora pro me.
5Tener l’arbitrio in credito si dè
E in ozio non lasciar l’autorità:
Con chi vi può scoprir fare a metà,
E i furti intitolar col ben del Re.
Non provocar chi sa, soffrir chi può;
10Lo stomacato far dell’oggidì,
Santo nel poco, e ne’ bei colpi nò,
Su i libri faticar così così;
E saper dire a tempo a chi pregò
Il nò con grazia, e con profitto il sì.
V
Dal Pellegrin, che torna al suo soggiorno
E collo stanco piè posa ogni cura,
Ridir si fanno i fidi Amici intorno
Dell’aspre vie la più lontana, e dura.
5Del mio cor, ch’a se stesso or fa ritorno,
Così domando anch’io la ria ventura,
In cui fallaci il raggiraro un giorno
Nella men saggia età speme, e paura
In vece di risposta egli sospira;
10E stassi ripensando al suo periglio,
Qual chi campò dall’onda, e all’onda mira.
Pur col pensier del sostenuto esiglio,
Ristringo il freno all’appetito, e all’ira:
Che ’l prò de’ mali è migliorar consiglio.
VI
Mentre omai stanco in sul confine io siedo
Della dolente mia vita fugace;
Ogni umano pensier s’acqueta e tace,
- ↑ A Francesco de Lemene eletto Oratore di Lodi.