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Mi apparve Amor, che pria riaguardovvi, e poi
     Così mi disse: Eh non t’avvedi, o folle,
     Che questa è la virtù degli occhi suoi!


XII


Eppure al fine a rivederti io torno
     Fuor delle cure di più gravi incarchi,
     Degno che il Tebro alle sue rive intorno
     Innalzi al nome tuo colonne ed archi.
5Premio è quell’ostro, onde ti miro adorno,
     De’ sudor tuoi di bella gloria carchi,
     Tanto gradito in ogni tuo soggiorno
     Alla vasta Germania, e a’ due Monarchi.
Superba del suo Foro erra tra sassi
     10L’ombra di Livio, e figlio suo ti noma,
     Così lieta gridando ovunque passi:
Cinto di rose l’onorata chioma
     Ecco a me riede, e in pochi dì vedrassi
     Giulio portar nuovi trionfi a Roma.


ANTONIO ESTENSE MOSTI.


I


Questa, che l’Uomo in sè racchiude e vanta
     Ragion feroce, ch’ogni vizio atterra,
     Lo sai mio cuor, lo sai come si ammanta
     Di finta forza, e in sè viltade serra.
5Come a i danni talor d’annosa pianta
     Se i suoi torbidi fiati Euro disserra,
     Mentre regge per l’aria, ei porta guerra
     Ai rami sì, ma il tronco altier non schianta.
Così Ragion dentro agli umani petti
     10Fiera guerra mortale a i sensi indice,
     Ed allo stuol dei rei servili affetti.
Poi tardi giunta alla fatal pendice,
     Scuote i deboli rami, e giovanetti;
     Ma l’antica non svelle alta radice.