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Pagina:Zappi, Maratti - Rime II.pdf/18

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     Gode è così ch’altro piacer non cura;
     195Lieto è così che più non chiede, o brama.
Or se l’amare è forza, e se Natura
     A noi per legge il diede, e s’a noi piace,
     Legge esser mai non può sì grave e dura.
Dolce dunque d’Amore è strale e face,
     200E quando dolce impiaga e dolce accende
     Se quindi ha solo il Mondo e vita e pace.
Tirsi.
Di Cane io mi dolea, che fier m’offende
     Co’ morsi il fianco, e i denti al cuor m’interna;
     E tu parli del Can, che in Ciel risplende.
205Altr’è la mente augusta, eccelsa, eterna,
     Detta Amor, perchè amando il tutto fuore
     Trasse dal Nulla, e amando or lo governa
Altr’è la passion. che dentro un cuore
     Tiranna siede, a in lui sol doglie crea
     210Amare doglie, ond’ha nome d’Amore.
Ciò, che il saggio Lacon dirti solea,
     Non sò, sò ch’il Pastor chiaro in Toscana,
     Quando cantò d’Amor, così dicea:
»Ei nacque d’ozio, e di lascivia umana
     215Nutrito di pensier dolci e soavi,
     Fatto Signore e Dio da gente vana:
Qual’è morto da lui, qual con più gravi
     Leggi mena sua vita in aspre pene.»
     E tu meglio il saprai, che un dì il cantavi
220Ma giacchè lungi dalle umili avene
     Par, che mi sfidi alle contese industri:
     Fummo, Alessi; ancor Noi, fummo in Atene.
Io dicea Probo; e non avea duo lustri:
     S’ora mi vedi guardian d’armenti,
     225Vidi, e, conobbi anch’io le Scuole illustri.
L’Uom dal primo suo dì nacque a i contenti,
     Signor di ciò, che sotto il Sol soggiorni:
     Da’ segni del Centauro all’Orse algenti
A lui la Terra coi bei fiori adorni,