Vai al contenuto

Pagina:Zappi, Maratti - Rime II.pdf/19

Da Wikisource.

15

     230Il Ciel co i venticelli a lui ridea:
     Oh memoria soave, oh lieti giorni!
A lambirgli la Tigre i piè correa,
     E danzando Natura a Ciel sereno
     All’Uom d’intorno, Amor, Amor, dicea.
235Allor fu la stagion, cha noi nel seno
     Caro sedeasi, e senza fiele Amore,
     Quand’era l’Aspe ancor senza veleno.
Ma poichè l’Uom (ahi crudo ingrateocuore!)
     Di gloria eguale a Numi ambìo gli acquisti,
     240Non ben contento del secondo onore;
Tu voragini allora, o Terra, apristi,
     T’armasti, o Ciel, di lampi e di saette:
     Ahi memoria delente, ahi giorni tristi!
D’unghie la Tigre, e d’ira armala stette,
     245Anzi fu l’Uom all’Uom Tigre; e Natura
     Da tutt’i corpi suoi chiamò vendette:
E vendette rispose, e entrò in congiura
     L’Abisso, e di laggiù fur visti uscire
     Le febbri, i morbi, e l’atra Morte oscura
250Ma, perchè l’Alma non potea morire,
     Amor, ch’erà nei cuor soave e grato
     Io, disse, eseguirò l’aspro martire.
Così coll’altre passion armalo,
     Rubello alla Ragion, che il resse in pria,
     255Restò crucio e castigo all’Uomo ingrato.
L’Alma allora imparò morir che sia;
     Nè morir solo, ma morire ogni ora:
     Dolce era se una sol volta morìa.
Questi, o Alessi, è l’Amor, ch’il tutto infiora,,
     260Amor, che dolce impiaga e dolce accende;
     E dà pace così, ch’ognun ne mora.
So, che Ragion talor l’armi riprende,
     E spinge Amor da’ frali oggetti e bassi
     Al Ciel, dond’a lui poi gioja discende.
265Ahi ma non tutti han piume onde al Ciel vassi,
     E noi restiam quaggiuso in carcer negra,