Pagina:Zeno, Apostolo – Drammi scelti, 1929 – BEIC 1970951.djvu/136

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Sallustia. Sol tua mercé...

Giulia. Tu ne abusasti, ingrata,
e la pena or ne avrai.
Sallustia. Ingrata? in che peccai?
Giulia. Prendi e leggi, infelice,
(le dá il foglio del ripudio)
ché né sposa piú sei, né imperatrice.
Sallustia. Sposa non son?
Giulia. Né Augusta.
Leggi !
Sallustia. (legge) «Moglie ed Augusta
«. piú Sallustia non sia. Giá la ripudio.
«Vada lungi dal Tebro
«e nell’Affrica adusta
«tragga miseri giorni in duro esiglio.
«Alessandro.» Alessandro!
Ripudio a me?
Giulia. Si, a te, femmina altera,
dá ripudio Alessandro, a te dá esiglio,
a te non piú marito, a me ancor figlio.
La sua destra il segnò.
(le leva la sentenza di mano)
Sallustia. Non il suo core,
ch’ei deluso da te soscrisse il foglio.
Giulia. E con la frode io gastigai l’orgoglio.
Che pensavi, o superba?
Tòrmi giú da quel trono ov’io ti posi?
E sulle mie rovine
piú ferma stabilir la tua fortuna?
Tu usurpar, con qual merto,
le mie insegne, i miei titoli, il mio trono?
Sola di Roma imperatrice io sono.
Sallustia. Cadan sulle mie tempia,
non che i fulmini tuoi, quelli di Giove,
se mai punse quest’alma amor d’impero.
L’unico voto mio, tutto il mio fasto,