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Giuseppe. Funesta invidia! detestabil mostro!
Chi da’ tuoi morsi il mio
Beniamin mi rassicura e guarda?
Tu che in mio danno armasti
gl’ inumani fratelli,
arrotar contro lui potresti ancora
l’ire malvage. Io non vi credo. Io voglio
farne prova, o perversi.
Prova si, che a’ vostri occhi
costi gran pianto e piú da’ miei ne sprema.
Vengono. Ho sdegno in volto e ’l cor mi trema.
Giuda. Come? Per qual delitto
siam tratti a guisa di ladroni e d’empi?
Ramse. Iniqui! Voi rubaste
a Sofonea la sacra argentea tazza.
Ei vi toglie a miseria; egli vi onora;
voi mal per ben perché rendeste a lui?
Ruben. O impostura! o furor! Come in sua reggia
osar noi tant’eccesso?
Que’ non siam che poc’anzi
da Canaan gli riportammo il prezzo?...
Ramse. A perfidia non vale unir baldanza.
Qui ’l signor vostro e mio giudice avete.
Simeone Sofonea, quanto grande,
tanto anche giusto, ah! che di troppo onore
n’hai ricolmi poc’anzi.
Questo è ’l nostro delitto. Invidia e rabbia
ci voglion rei. C’ insidiano ad un tratto
e roba e fama e libertade e vita.
La calunnia punita
le tue glorie qui accresca. Il sacro vaso
non è nostra rapina; e se in noi trovi
il vii ladron, scuri sicn pronte ed aste.
Ecco qui tutti offriamo
il collo al ferro, il braccio alla catena.