Pagina:Zeno, Apostolo – Drammi scelti, 1929 – BEIC 1970951.djvu/224

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SCENA II

Pirro e Oreste.

Pirro. Ermione parte e sta turbato Oreste?

Oreste. Signor...
Pirro. Che a me sia noto
ciò che sanno Argo e Sparta, a te non dolga.
Oreste. E che?
Pirro. Fin da’ primi anni avvinse i vostri
cori scainbievol laccio. Io lo rispetto
e seguo quel destin che mi rapisce,
per lasciar piú contenti i vostri affetti.
Oreste. Quei d’Ermione contenti? Ella vuol Pirro.
Pirro. Eh, non dar fede al suo furor. Vedresti
sol ch’io piegassi a lusingarla, amore
disperarsi, languir, pianger, pentirsi,
e in faccia a’ numi sospirar l’amante.
Oreste. Tutto esser può; ma lei piú ch’altro or punge
l’ignominia del torto. E madri e nuore
vergine in Grecia inostreranla a dito,
donde parti giá sposa.
Pirro. E vi ritorni
sposa, ma tua. Le stesse
tede per due imenei splendan felici.
Recale il lieto avviso;
placa quell’ire. Avranno
sul tuo labbro i miei doni
grazia e poter. Sposi vi attendo al tempio.
Oreste. Libero parlerò. Non se il tuo Epiro
mi offrissi e ancor piú regni,
mi faresti, o gran re, dono piú grato
di quel d’ Ermione. Ma, perdona, puoi
torla ad Oreste, non donarla. Resa
da te a sé stessa, sola