Pagina:Zeno, Apostolo – Drammi scelti, 1929 – BEIC 1970951.djvu/246

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Ermione. Qual violenza e forza al tuo gran core !

Andromaca. Adattarsi al destin spesso è virtude.
Ermione. Giá so quanto tu sia nimica a Pirro.
Andromaca. Che si può far? Tra i giri delle cose
varian anche gli affetti.
Ermione. La vedova d’Ettore un raro esempio
verso il morto suo sposo era di fede.
Andromaca. Aspetta d’esser madre, e allor ragione
mi faranno i tuoi scherni.
Ermione. Non vo’ piú ritenerti.
Pirro, il figlio d’Achille,
per cui vedova sei...
Andromaca. Mi attende al tempio.
Ermione. Felice nodo! Almeno
esserne spettatrice Ermione possa.
Andromaca. Giust’è. Doveva Ermione esserne parte.
Ermione. Ma que’ veli lugubri
mal competono a sposa.
Andromaca. Eh, poco nuoce
al giubilo dell’alma il nero ammanto.
Ermione. Povera Ermione! a te gramaglia e pianto.
Non tanto insuperbir. Cresce in gran fiume
anche quel ruscelletto
e quel torrente altier si rompe in sassi.
Spande pianta i gran rami oltre il costume,
che poi percossa o guasta
da fulmine o da tarlo arida stassi.

SCENA III

Andromaca e poi Eleno.

Andromaca. Quanto mal dell’ interno

si giudica dal volto! Ombra del grande
Ettore mio, non ti turbar. Dell’opra
maturi il fine, e sta nel tuo riposo.