Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/260

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232 pensieri (121-122)

d’immaginazione, che in questi nostri tutti intellettuali.


*   Le cagioni di quello che nota Montesquieu ch. 14. fine, e se ne maraviglia, sono: 1°, che ciascuno è tanto infelice quanto esso crede, e i poveri e ignoranti si credono assai meno infelici di quello che fanno i ricchi e istruiti, non già che quelli non si credano molto piú sventurati di questi, ma misurando e ragguagliando l’opinione  (122) della propria infelicità, quale ambedue la concepiscono, si trova molto maggiore in questi che in quelli: 2°, che di un popolo mezzo barbaro è tutto proprio il timore: 3°, che per disprezzar la vita e le sventure non basta essere infelici, ma si richiede magnanimità e profondità di sentimenti e forza d’animo, cose ignote alla plebe, altrimenti prevale il desiderio naturale e cieco della propria conservazione: 4°, che la prosperità dà confidenza, ma le continue sventure primieramente in luogo di far l’uomo generoso l’avviliscono col sentimento della propria debolezza, e gli levano il coraggio, massime se egli non è magnanimo per natura o per coltura; poi la trista esperienza rende l’uomo tremebondo a causa del nessuno sperare e dell’aspettar sempre male: 5°, finalmente che chi ha pochissimo teme piú per quel poco, perché non è avvezzo a confidare né a immaginar nessuna risorsa, avendone sempre mancato, quando sia un popolo vissuto sempre nella inazione, come i moderni, e non avvezzo a continue imprese e vicissitudini di fortuna, come gli antichi romani, ancorché poveri.


*   La cagione che adduce Montesquieu dell’esser sovente il principio de’ cattivi regni come il fine dei buoni (ch. 15, p. 160), non è buona, perché va a terra quando un cattivo principe succede a un buono. Io credo che la vera sia: prima, che, il suo fine essendo