Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/267

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(130-131) pensieri 239

Questo è un desiderio comune e certo di tutti. Ma oggidí il giovane privato non ha altra strada a conseguirlo, fuorché quella che ho detto, o l’altra della letteratura che rovina parimente il corpo. Cosí la gloria d’oggidí è posta negli esercizi che nuocciono alla salute, in luogo che una volta era posta nei contrarii. E cosí per conseguenza s’infiacchiscono sempre piú le generazioni degli uomini, e questo effetto della mancanza d’illusioni esistenti nel mondo come una volta divien cagione di questa stessa mancanza, a motivo del poco vigore; secondo quello che ho detto negli altri pensieri, della necessità del vigor del corpo alle grandi illusioni dell’animo. Sono poi troppo noti gli spaventosi effetti della ordinaria vita giovanile d’oggidí, che a poco a poco ridurranno il mondo a uno spedale. Ma che rimedio ci trovereste? Che altra occupazione resta oggi a un giovane privato, o che altra speranza? E credete che un giovane si possa contentare di una vita inattiva,  (131) senza nessuna vista e nessuna aspettativa, fuorché di un’eterna monotonia, e di una noia immutabile? Anticamente la vanità era considerata come propria delle donne, perché anche nelle donne c’è lo stesso desiderio di distinguersi, e ordinariamente non ne hanno avuto altro mezzo che quello della bellezza. Quindi il loro cultus sui, il quale diceva Celso che adimi feminis non potest. Ora resta intorno alla vanità la stessa opinione, che sia propria delle donne, ma a torto, perché è propria degli uomini quasi egualmente, essendo anche gli uomini ridotti alla condizione appresso a poco delle femmine, rispetto alla maniera di figurare nel mondo, e l’uomo vecchio per la massima parte, è divenuto inutile e spregevole, e senza vita né piaceri né speranze, come la donna comunemente soleva e suol divenire, che dopo aver fatto molto parlar di se sopravvive alla sua fama invecchiando (22 giugno 1820).