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278 | pensieri | (171-172) |
non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario. Quindi il piacere ch’io provava sempre da fanciullo, e anche ora, nel vedere il cielo, ec. attraverso una finestra, una porta, una casa passatoia, come chiamano. Al contrario, la vastità e moltiplicità delle sensazioni diletta moltissimo l’anima. Ne deducono ch’ella è nata per il grande, ec. Non è questa la ragione. Ma proviene da ciò, che la moltiplicità delle sensazioni confonde l’anima, (172) gl’impedisce di vedere i confini di ciascheduna, toglie l’esaurimento subitaneo del piacere, la fa errare d’un piacere in un altro, senza poterne approfondare nessuno, e quindi si rassomiglia in certo modo a un piacere infinito. Parimente, la vastità, quando anche non sia moltiplice, occupa nell’anima un piú grande spazio, ed è piú difficilmente esauribile. La maraviglia similmente rende l’anima attonita, l’occupa tutta e la rende incapace in quel momento di desiderare. Oltre che la novità, inerente alla maraviglia, è sempre grata all’anima, la cui maggior pena è la stanchezza dei piaceri particolari.
* Da questa teoria del piacere deducete che la grandezza anche delle cose non piacevoli per se stesse diviene un piacere, per questo solo ch’é grandezza. E non attribuite questa cosa alla grandezza immaginaria della nostra natura. Posta la detta teoria, si viene a conoscere (quello ch’é veramente) che il desiderio del piacere diviene una pena, e una specie di travaglio abituale dell’anima. Quindi:-1°, un assopimento dell’anima è piacevole. I turchi se lo proccurano coll’oppio; ed è grato all’anima, perché in quei momenti non è affannata dal desiderio, perché è come un riposo dal desiderio tormentoso e impossibile a soddisfar pienamente, un intervallo come il sonno, nel quale se ben l’anima forse