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(771-772) pensieri 177

sima alla novità ed al bell’ardire, anche nei modi, secondo che ho detto altrove. La lingua tedesca, rimasa per tanti secoli impotente ed umile, ancorché parlata da tanta e sí estesa moltitudine di popoli, non per altro che per avere avuto nell’ultimo secolo e ne’ pochi anni di questo immensa copia e varietà di scrittori, è sorta a sí alto grado di facoltà e di ricchezza e potenza.

La lingua italiana dunque, scritta per sei secoli fino al diciottesimo inclusivamente, e scritta da una infinità di autori d’ogni soggetto, d’ogni stile, d’ogni carattere, d’ogni ingegno, oltracciò abbondantissima, quanto e piú, certo prima, di qualunque altra lingua viva non solo di scrittori comunque, ma scrittori peritissimi nel linguaggio, coltivatori assidui ed espressamente dedicati allo studio della lingua, maestri e modelli del bel parlare, studiosissimi delle lingue antiche per derivarne nella nostra tutto il buono e l’adattato, liberi, coraggiosi e felicemente arditi nell’uso della lingua; questa lingua,  (772) dico, da piccoli, anzi vili e rozzi e informi principii come tutte le altre e da barbare origini; di piú, cresciuta e fatta, se non matura, certo adulta e vigorosissima fra le tenebre dell’ignoranza, della superstizione, degli errori della barbarie; non per altro che per li detti motivi e prima e sola fra le viventi è venuta in tal fiore di bellezza, di forza, di copia, di varietà ec., che giunge quasi a pareggiare le due grandi antiche (chi bene ed intimamente e in tutta la sua estensione la conosce), non avendo rivale fra le moderne. Se dunque abbiamo veduto come le doti delle lingue, e in ispecie la copia e la varietà, non derivano principalmente se non dalla copia e varietà degli scrittori e non da natura di essa; ne segue che quando gli scrittori lasceranno per trascuraggine o ignoranza di arricchirla, e peggio se saranno impediti di farlo, la lingua non arricchirà, non crescerà, non monterà piú, e siccome le cose umane