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(1324-1325-1326) pensieri 89

o parlata, non producono piú verun senso di eleganza, benché sieno della stessa origine, forma, natura di quelle voci ec. che lo producono oggi. Quanti latinismi di Dante, da che divennero italianismi (e lo divennero da gran tempo e in grandissimo numero) sono buoni e puri, ma non hanno che far piú niente coll’eleganza e grazia!  (1325)

Se quella cosa straordinaria o irregolare nel bello e dentro i limiti del bello diventa ordinaria e regolare, non produce piú il senso della grazia. Perduto il senso dello straordinario si perde quello del grazioso. Una stessa cosa è graziosa in un tempo o in un luogo, non graziosa in un altro. E ciò può essere per due cagioni: 1o, Se quella tal cosa per alcuni riesce straordinaria, per altri no. Il parlar toscano riesce piú grazioso a noi che a’ toscani. Cosí le fiorentinerie giudiziosamente introdotte nelle scritture ec. Cosí l’eleganza e la grazia de’ trecentisti la sentiamo noi molto piú che quel tempo che li produceva; molto piú di quegli stessi scrittori, i quali forse non vollero né cercarono d’esser graziosi, ma pensarono solo a scrivere come veniva e a dir quello che dovevano, né s’accorsero della loro grazia; e lo stesso dico de’ parlatori di quel tempo. Lo stesso delle pronunzie o dialetti forestieri ec., i quali riescono graziosi fuor della patria, non già in patria. 2o, Se quel tale straordinario o irregolare ec. ad altri riesce compatibile col conveniente, col bello ec., ad altri incompatibile, eccessivo e distruttivo della regola, del conveniente, del bello ec. Una stessa pronunzia ec.  (1326) forestiera riesce graziosa in un luogo dove la differenza è leggera ec., e sgraziatissima in un altro, dove ella contrasta troppo vivamente e bruscamente colla pronunzia, coll’assuefazione indigena ec. ec. Cosí dico dell’eccesso delle toscanerie popolari nelle scritture, che a noi riesce affettato ec. ec.

Ma anche questo giudizio è soggetto a variare, e