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(1806-1807-1808) pensieri 379

tendo che difficilmente le converrà l’attributo di elegante, non già ch’ella debba perciò essere inelegante e che una  (1807) scrittura elegante si debba comporre di sole voci e frasi segregate dal volgo. Le parole antiche (non anticate) sogliono riuscire eleganti, perché tanto rimote dall’uso quotidiano, quanto basta perché abbiano quello straordinario e peregrino che non pregiudica né alla chiarezza né alla disinvoltura e convenienza loro colle parole e frasi moderne.

Quindi è che infinite parole e frasi che oggi sono eleganti non lo furono anticamente, perché non ancora rimosse o diradate nell’uso; giacché tutto ciò ch’é antico fu moderno e tutte le parole o frasi proprie di una lingua furono un tempo volgari e quotidiane.

Quindi si argomenti quanto sia giovevole all’eleganza dello scrivere italiano (del quale è veramente e assolutamente propria l’eleganza piú che di qualunque altra lingua moderna) il non aver la nostra lingua rinunziato mai al suo antico fondo, in quanto le può ancora convenire.  (1808)


    Da queste ragioni deriva in parte un effetto che si osserva in tutti i primitivi scrittori di qualsivoglia lingua. Essi non sono mai eleganti, bensí ordinariamente familiari. La familiarità essendo anch’essa bellissima, si confonde molte volte coll’eleganza e può considerarsi come una delle sue specie (massime quando la stessa familiarità cagiona il pellegrino nella scrittura, per non esser solita a venirvi applicata). Ma io qui non intendo parlare di quella eleganza di cui il Caro in verso e in prosa può essere un modello, bensí di quella di cui saranno eterni modelli a tutte le nazioni e le lingue Virgilio e Cicerone.

Or in luogo di questa che non è mai propria di nessuna lingua ne’ suoi principii e ne’ cominciamenti della sua letteratura, si trova ne’ primitivi scrittori di ciascuna lingua molta familiarità. Noi non abbiamo i primitivi scrittori greci. I latini Ennio, (ne’ suoi fram-